1) Il Liber Promissionis Maleficii, considerata la prima raccolta organica scritta di leggi criminali veneziane, promulgato il 7 luglio 1232, “cum ex rigore justitiae… nos Jacobus Theupolo Dei gratia Venetiarum, Dalmatiae ac Croatiae Dux…”, si componeva di 29 articoli, mentre le prime “aggiunte e correzioni” sono dovute al Doge Pietro Gradenigo, regnante tra il 1289 e il 1311.
Successivamente a quella legge penale, il Doge Tiepolo provvide al civile, con la pubblicazione, nel 1242, dei c.d. “statuti veneziani” divisi in cinque libri.
Ragusa cadde sotto dominio veneziano nel 1205 e neppure 70 anni dopo la Repubblica di San Biagio si dotava, col pieno consenso del Comes veneziano di una raccolta normativa organica e scritta detta, appunto, Liber Statutorum (1272).
Anche nel testo “Né Turchi né Ebrei ma Nobili Ragusei” è descritta la struttura e il contenuto di quell’imponente costruzione giuridica medievale, facendo cenno alla tipicità degli antichi ordinamenti, i quali, comunque, non esaurivano nei soli statuti d’autonomia le molteplici fonti del diritto.
Riguardo il Liber, molti scrittori hanno immaginato statuti ragusei anteriori a quelli di Venezia senza, tuttavia, reperirne un concreto documento per cui, infine, la questione della primogenitura appare quasi una vuota esercitazione; piuttosto, il confronto, per quel che qui interessa, tra il Liber Promissionis Maleficii (Venezia, 1232) e il libro sesto del Liber Statutorum (Ragusa, 1272) mostra all’evidenza come questo venga da quello, benché il Liber raguseo appaia assai più approfondito, completo e sofisticato; basterà considerare come il sesto libro raguseo contenga 68 articoli, mentre inizialmente quello veneziano, come si è detto, ne numeri soltanto 29, di cui non pochi a contenuto processuale, mentre l’ultimo (29) consiste, per così dire, in una norma penale in bianco, infatti “de gli altri Maleficii… non posseno il giuditio singularmente specificar, havemo trovado,… che se de alcun Maleficio (oltra quelli, che son ditti di sopra) serà portà Querella…”.
2) In appendice a “Né Turchi né Ebrei ma Nobili Ragusei” si trova la copia dell’indice e alcune pagine del Libro VI di Ragusa, la trascrizione della parte del manoscritto utilizzata e la traduzione dell’indice e di quelle stesse parti.
Una parola, dunque, va detta a proposito di quel manoscritto, oggi di proprietà del Senato italiano che, a sua volta, l’aveva ricevuto dalla biblioteca Malvezzi-Medici di Bologna, inventariandolo il 12 luglio 1935; non si tratta di una copiatura di gran pregio, mentre incuriosisce già soltanto la data di copiatura: 1731 !
Si rilevano, altresì, parecchie imperfezioni, ivi comprese quelle principali per cui la numerazione degli articoli nel testo non corrisponde a quella dell’indice (non è indicato l’articolo 6 “De furtis mulierum” che, invece, si trova nel testo) e, soprattutto, sia nell’indice che nel testo romano, è del tutto omesso l’articolo 66 (secondo la versione standard di cui si dirà), norma di non poca importanza per il diritto della navigazione e che limita la prevalenza della proprietà straniera della nave.
Per il resto, potrà essere sufficiente confrontare i titoli, perché si è scelto di mantenere tali errori anche in questa traduzione (compresa la punteggiatura non corretta).
Il testo del Liber diffuso in Croazia dove, particolarmente all’Archivio di Stato di Dubrovnik, l’opera è molto studiata, è quello c.d. standard risalente al 1904 per il lavoro dei professori Jirecek e Bogisic.
Di recente ne è stata pubblicata un’eccezionale edizione critica (a cura di AA.VV., Liber Statutorum Ragusii ecc., Dubrovnik, 2002, pag. 680), contenente il testo latino completo, la traduzione in croato a fronte e un ricchissimo corredo saggistico con numerosi indici per materia che ne agevolano la consultazione.
3) Dunque, pur intendendo qui limitarsi a offrire una traduzione del Libro VI, nella sua versione della Biblioteca del Senato italiano, qualcosa va detto sull’ordinamento giuridico di Ragusa, Repubblica sovrana fino al 31 gennaio 1808.
Seppure il Liber sia rimasto in vigore per tutta l’esistenza della Repubblica di San Biagio, certo non lo è rimasto nei contenuti promulgati il 20 maggio 1272; anzi, le addizioni, le riforme, le correzioni iniziarono subito, mentre la “produzione normativa” cresceva con lo sviluppo e le fortune della Repubblica.
Una prima raccolta ne è contenuta nel Liber Omnium Reformationum, mentre, successivamente, il Liber Viridis raccoglierà la normativa dal 1385 (quando Ragusa era in dominazione ungherese) al 1460; mentre l’ultimo capitolo del Liber Croceus (n. 460) è datato 26 gennaio 1803.
Tornando all’antico, va ricordato come la città di Ragusa, nei secoli XIII e XIV, s’ingegnò ad ampliare il proprio territorio di sovranità i cui confini, infatti, alla fine del 1300 (salvo la regione di Canali, acquisita poco dopo, tra il 1419 e il 1427) rimasero, più o meno, gli stessi fino alla fine.
Dal 1216 fu ragusea l’isola di Lagosta (Lastovo) e il suo piccolo arcipelago; mentre nel 1333 furono acquisite l’isola di Meleda (Mljet) e la penisola di Sabbioncello (Peljesac) con la città di Stagno (Ston) poi fortificata.
Quindi le comunità di Lagosta (1310) e di Meleda (1345) ottennero statuti di autonomia (col significato anche detto a pag. 35 di “Né Turchi né Ebrei ma Nobili Ragusei”, ferma, cioè, la Lex, rappresentata dai Liber di Ragusa, quale fonte gerarchicamente superiore, seppure negli statuti di Lagosta e Meleda si consenta di trattare anche materia penale, in lievi difformità).
Al contrario, la regione di Sabbioncello e la città di Stagno furono sottoposte a un regime di particolare autorità, rappresentato dagli Ordines Stagni, a far tempo dal 1350; normativa, in specie, rivolta a reprimere con energia il contrabbando che si svolgeva attraverso la penisola, dove facilmente si sbarcava da Lesina o da Curzola, isole veneziane; normativa, quindi, a protezione delle grandi saline del luogo e a valutare al meglio la valenza militare della città di Stagno che, assai prossima al confine veneto, non si trovava neppure troppo distante dal confine orientale slavo-bosniaco, poi turco.
E prima di dare la traduzione del sesto libro, contenente anche norme repressive o cogenti riguardanti la vita degli schiavi, si vuol riportare, nel testo originale, la motivazione con cui, per statuizione del Maggior Consiglio del 27 gennaio 1416, veniva a Ragusa abolita la schiavitù e proibito il trasporto di schiavi con navi ragusee:
“…videlicet quod humana species facta ad imaginem et similitudinem creatoris nostri…”
TRADUZIONE DEL SESTO LIBRO (PENALE) DEL LIBER STATUTORUM DI RAGUSA (1272) SECONDO IL MANOSCRITTO DI PROPRIETÁ DELLA BIBLIOTECA DEL SENATO DELLA REPUBBLICA ITALIANA.
1. Omicidio. – Nel Maggior Consiglio, col consenso popolare, in seduta pubblica, riuniti secondo gli usi al suono delle campane, si è deciso e sottoscritto: che chiunque commetta omicidio, salva la legittima difesa, se provata, sia condannato a morte.
E se l’omicida fugge, sia in perpetuo esiliato da Ragusa e il suo territorio, e i beni di lui trasferiti ai figli maschi ovvero agli eredi maschi dei figli, ove ne avesse; in mancanza di nipoti, alle nipoti. In mancanza di nipoti in linea maschile, i beni saranno trasferiti ai parenti più prossimi in linea maschile. In mancanza di eredi in linea maschile, detti beni saranno trasferiti alle donne parenti più prossime.
A costoro è fatto divieto di vendere, alienare ovvero costituire in alcun modo garanzie su detti beni durante la vita dell’omicida, salvo per dote delle figlie o delle nipoti sue e successibili di lui, rimanendo detti beni dotali in destinazione perpetua.
2. Concorso. – Chiunque giuri o prometta di concorrere, provato il fatto, se organizzatore e promotore di tale concorso, sia condannato a morte; se fugge, sia in perpetuo esiliato e i suoi beni confiscati. Tuttavia, chi concorra senza aver promosso il fatto, sia condannato al pagamento di venticinque perperi; non pagando, gli sia amputata la mano destra; se fugge, sia in perpetuo esiliato e i suoi beni confiscati.
3. Percosse con e senza armi. – Chiunque colpisca a sangue altrui con spada o altra arma da taglio ovvero con mazza ferrata sia condannato al pagamento di venticinque perperi per ogni colpo. Se amputato un arto o sfregiato il volto, sia condannato al pagamento di cinquanta perperi per colpo. Non pagando, gli sia amputata la mano destra, e il Comune sia tenuto alla cura se il leso accetta.
Chiunque colpisca a sangue o con tumefazione, con pietra o bastone, sia condannato al pagamento di dodici perperi; non pagando, sia fustigato e bollato.
Chi percuota altrui a mano nuda, sia condannato al pagamento di sei perperi; non pagando, sia fustigato.
Se l’imputato fugge, sia esiliato e condannato al pagamento della prevista pena pecuniaria aumentata della metà; né potrà rientrare prima di aver pagato.
Se catturato durante l’esilio o la contumacia, il conte e il Minor Consiglio commineranno le pene previste. Nel caso manchi la denuncia, il Conte procederà d’ufficio.
Se il fatto è commesso da una donna insolvente, sia incarcerata fino al pagamento.
Conte Marino Badoer, Anno Domini MCCLXXXXIII, nella VI adunanza di marzo, per decreto di lui e l’approvazione del Minor e Maggior Consiglio e consenso popolare, fu aggiunto detto articolo sulle percosse e cioè: qualora la persona colpita a mano nuda reagisca sul posto, provato il fatto, sia condannato solo chi per primo abbia percosso e iniziato la rissa al pagamento di sei perperi e l’altro non paghi nulla. Tuttavia, se provar non si possa chi sia stato l’aggressore, entrambi siano condannati al pagamento di sei perperi, ossia di tre perperi per ciascuno.
4. Termini concessi per gli omicidi. – Nel Maggior Consiglio al suono della campana in Luogo Pubblico riunito secondo gli usi si è deciso e sottoscritto col consenso popolare in seduta pubblica al suono della campana in Luogo Pubblico, come consueto, per pieno e libero potere, autorità e delega del conte in carica e del suo Consiglio, di concedere ed assegnare termine e termini secondo disposizioni di lui e convenienza, a tutti gli accusati di omicidio o altro crimine e illecito penale, per comparire dinnanzi a lui, considerato il luogo della commissione del crimine o dell’omicidio, abrogate le precedenti norme contrarie a tale diritto.
5. Furto. – L’autore del furto sia condannato per il primo fatto al pagamento di quattro volte il valore, per il secondo di otto, per il terzo di dodici, per il quarto di venti.
Non pagando, nel caso di furto fino a due perperi, sia fustigato. Fino a cinque perperi sia fustigato e bollato. Fino a dieci sia accecato di un occhio; fino a venti gli sia amputata la mano destra. Oltre i venti venga accecato.
6. Furto commesso da donne. – Il nobile signore Andrea Dauro, conte di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e consenso popolare, al suono delle campane, riuniti secondo gli usi, nell’anno MCCLXXXXVIIII, nella seconda adunanza, il giorno XX del mese di dicembre, statuisce e ordina: che se una donna commette furto da II a V perperi sia fustigata, da V a XX sia fustigata e bollata; e oltre le sia amputato il naso ed esiliata dalla città di Ragusa e il suo territorio.
7. Brigantaggio. – Per la prima rapina sulla strada i responsabili siano condannati al pagamento di otto volte, per la seconda di sedici volte, e così oltre la pena sia sempre raddoppiata. Colui il quale abbia rapinato fino ad un perpero e non pagando sia fustigato e bollato; se tuttavia abbia rapinato da un perpero a tre e non pagando, sia accecato di un occhio. Se da tre a sei gli sia amputata la mano destra. Ma da sei a dieci, sia accecato; oltre i dieci, sia impiccato.
8. Avvelenamento. – Chiunque sia responsabile di intossicazione o avvelenamento da cui possa derivare la morte o la perdita del senno, se provato che a mezzo della pozione è seguita la morte o la perdita del senno, sia condannato al rogo; e nel caso in cui morte non sopravvenga né perdita di senno, sia posto nella clemenza del conte.
Inoltre se l’avvelenamento non è provato, ma se ne ha il sospetto, il conte inquisirà a sua discrezione.
9. Violenza sulle donne. – Chiunque usi violenza contro una donna, provato il fatto, è condannato a pagare cinquanta perperi.
Non pagando verrà accecato, salvo matrimonio consensuale.
In quest’ultimo caso anche la pena pecuniaria è abolita.
10. Falsità materiale. – Chi confeziona o redige un falso documento è condannato all’amputazione della mano destra, provato il fatto.
11. Uso processuale di atto falso. – Chiunque produca in giudizio, a vantaggio proprio, un falso documento da lui redatto, rimane soccombente nella causa con pubblica perdita di affidamento e la condanna al pagamento di quaranta perperi.
Non pagando è condannato all’amputazione della mano destra.
Quando il falso documento prodotto in giudizio sia stato redatto dal padre, dal nonno o altri ascendenti della parte, questi potrà introdurre a discolpa undici testimoni ed egli stesso giurare di non conoscere la falsità dell’atto, né di averlo redatto, né precostituito quale prova.
In tal caso rimarrà esclusivamente soccombente nel giudizio.
Al contrario, mancando la prova o il giuramento sarà condannato alla pena indicata.
12. Furto nelle vigne. – Chiunque, introducendosi nella vigna altrui, si impossessi dell’uva ovvero cagioni un danno diverso, sia condannato al pagamento di cinque perperi; non pagando sia fustigato.
13. Danneggiamento di alberi. – Chiunque tagli alberi altrui contro la volontà del padrone sia condannato al pagamento di dodici perperi, la tal somma sia pagata per metà al Comune e per metà al proprietario dell’albero se costui l’abbia querelato. Tuttavia, se il conte abbia proceduto d’ufficio senza querela, l’intera somma sia pagata al Comune.
14. Turbamento di pubbliche funzioni. – Chiunque percuota un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, sia condannato a doppia pena di quella prevista per il reato commesso a danno di privato.
15. Frode di dogana straniera con danno per Ragusa. – Chiunque fuori dal territorio raguseo abbia frodato dogana straniera, se non nemica, o di alcunché si sia impossessato, e da ciò sia venuto danno a cittadino raguseo, risarcisca ovvero si rechi colà a comporre.
16. Bestemmia. – Chiunque bestemmi Dio o i suoi Santi, sia condannato al pagamento di un perpero; non pagando sia legato al palo.
17. Mutuo a giocatori. – Chiunque ai giocatori di dadi o altro azzardo mutui, con garanzia o senza, sia condannato al pagamento di due perperi, e restituisca la cosa data in pegno senza pretendere la restituzione.
18. Del sale. – Nessuno, sia cittadino o straniero, che abbia trasportato sale a Ragusa potrà né scaricarlo né venderlo se non al Comune di Ragusa con autorizzazione del conte.
Mancando l’accordo e l’autorizzazione, potrà andarsene col sale.
Lo straniero che, senza autorizzazione, abbia venduto sale a cittadino raguseo sia condannato al pagamento di dieci perperi e perda il sale.
Inoltre chiunque, cittadino o forestiero, carichi sale a Ragusa, sia condannato al pagamento di dieci perperi e perda il sale.
19. Monopolio della vendita del sale. – Nessun Raguseo a Ragusa venda sale al minuto ad altro Raguseo o a straniero senza autorizzazione del conte e in caso di violazione perda tutto il sale e sia condannato al pagamento di sei perperi; non pagando, sia fustigato. E chi da capo Comari verso Ragusa e da Budua verso Ragusa abbia venduto sale sia condannato al pagamento di ventisei perperi e perda il prezzo del sale venduto. Allo stesso modo sia punito chi abbia trasportato sale con nave propria o altrui a nolo o in ogni altro modo o frode al fine di venderlo nei suddetti luoghi. Nel MCCCVIIII il giorno VI di agosto al tempo di Andrea Dauro conte di Ragusa, tramite il Minor e il Maggior Consiglio e in seduta pubblica fu aggiunto questo articolo: nessun Raguseo o straniero di qualunque condizione osi comprare o vendere a Ragusa o nel territorio sale da nessuno, né contragga vendita o altro contratto direttamente o per interposta persona in alcun modo o frode senza autorizzazione del conte e del Minor Consiglio. Contravvenendo sia condannato al pagamento di X perperi e perda il sale o il valore del sale sia l’acquirente che il venditore. Con pena analoga sia punito il mediatore. E il denunciante ne riceva la metà. E tutti i pubblici ufficiali hanno obbligo di denuncia. Nel MCCCCVIII il giorno VI di giugno, rettore Alvise de Gozze, in Maggior Consiglio riunito secondo l’uso al suono della campana, presenti LXI consiglieri deliberato con LIII voti, fu aggiunto alla norma sul sale questo articolo, ossia: la barca o altra nave sorpresa a contrabbandare sale in luoghi vietati siano arse e l’armatore con l’equipaggio della barca sia condannato a tre mesi continuativi di carcere nonostante diversi statuti. Tali disposizioni e pene rimangono inderogabili.
20. Degli eletti a pubblici uffici. – L’eletto quale ambasciatore o ad altro ufficio che rifiuti l’incarico sia condannato al pagamento di XXV perperi. Salvo impedimento personale, su cui l’eletto abbia giurato e così creduto, ovvero non offra diversa prova di tale impedimento: allora nulla dovrà. Si aggiunge che se l’eletto quale ambasciatore potrà legittimamente provare di aver iniziato un viaggio prima della elezione o se potrà provare che il padre o la madre, il fratello o la moglie o il figlio o la figlia sia impedito o impedita da grave infermità fisica o anche se potrà provare che sia in procinto di celebrare le nozze del figlio o della figlia ovvero in quel tempo non possa tornare dall’ambasceria alla quale sia stato eletto o in quel tempo in cui aveva disposto di celebrare le nozze.
Se potrà provare legittimamente detti impedimenti anche giurando che egli non è trattenuto da altro se non alcuno dei predetti impedimenti, allora non sarà costretto ad assumere detta ambasceria né sarà condannato a pagare alcuna pena. Al tempo di Marino Badoer, conte di Ragusa, fu aggiunto detto articolo, affinché detti ufficiali non siano condannati: il capo dell’arsenale, i conti delle isole e di Astarea, l’ufficiale delle cere.
21. Reati commessi da minore. – Il conte e il suo Ufficio giudicano discrezionalmente i reati commessi da minore di anni quattordici, avuto riguardo all’età.
22. Divieto di circolare dopo il terzo rintocco. – Chi verrà sorpreso dopo il terzo rintocco sia condannato a pagare un perpero salvo non rientri dalla vigna o si rechi al soccorso della nave durante la tempesta a discrezione del conte e del suo Ufficio. Se portando un lume, a discrezione del conte il quale considererà la reputazione di lui.
23. Vendita ai Dalmati. – Il Raguseo che abbia venduto una nave o altra imbarcazione in Dalmazia sia condannato al pagamento di cento perperi e perda il prezzo dell’imbarcazione.
24. Acquisto dai Dalmati. – Chi consapevolmente abbia acquistato un’imbarcazione da un Dalmata o altri pirati sia condannato a pagare venticinque perperi, e quella imbarcazione sia incendiata. Si aggiunge: qualora il proprietario di detta imbarcazione si manifesti, l’imbarcazione sia restituita al proprietario medesimo; inoltre rimanga alla discrezione del conte e del suo Ufficio se incendiare detta imbarcazione o confiscarla, come meglio si riterrà, qualora (non) si manifesti alcun proprietario.
25. Discarica nel porto. – Se alcuno abbia abbandonato, ovvero gettato in porto zavorra o liquidi o scarti o immondizie senza autorizzazione del conte sia condannato al pagamento di due perperi, non pagando sia fustigato e al denunciante vada la quarta parte.
26. Armati in città. – Chiunque porti in città di giorno un coltello o altra arma atta ad offendere sia condannato a pagare due perperi, se di notte, paghi cinque perperi e perda l’arma.
27. Stranieri armati. – Lo straniero nella città di Ragusa non tuttavia abitandovi, se abbia portato un’arma fraudolentemente, sia condannato a pagare un perpero. Ciò tuttavia alla discrezione del conte.
28. Vendita nelle taverne dopo il terzo rintocco. – La taverna che dopo il terzo suono di campana fosse trovata aperta o dove si vendesse vino dopo il medesimo terzo suono di campana, fuorché al Capitano coi custodi della città, sia multata di un perpero di cui una metà al Comune e l’altra ai custodi di quella notte.
30 (29). Generi alimentari di libera conservazione in fortezza. – Successivamente alla costruzione del muro di fortificazione della città, si stabilisce che gli abitanti del castello possano ivi conservare alimenti, ma non possano conservare vino, se non abbiano case di sasso, cioè di pietra, costoro infatti possono avere vino a volontà.
31. Ingiuria. – Riguardo le ingiurie che gli uomini o le Donne abbiano detto tra loro ovvero ai giudici o a componenti dei consigli, riguardo minacce e altri reati, sia lasciato alla discrezione e alla prudenza del conte se punire detti comportamenti, tuttavia contemperando la pena secondo gravità dell’ingiuria.
32. Contumacia. – Convenuto per tre volte al Tribunale riguardo alcuna offesa detta o fatta ovvero un reato, qualora con la contumacia mostri disprezzo, sarà giudicato su quell’ingiuria e, qualora compaia dopo, non venga su ciò ascoltato.
Conte Marino Badoer, Anno Domini MCCLXXXXIII, il mese di marzo, per decreto di lui, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio e consenso popolare, fu aggiunto che chiunque sia accusato di alcuna offesa detta o fatta o di reato, abbia il termine di giorni tre entro cui presentarsi all’autorità e il medesimo termine abbia per esser giudicato.
Ugualmente, al tempo medesimo di Marino Badoer, conte di Ragusa, corrente l’anno MCCLXXXXIII, il mese di marzo, per decreto di lui con la volontà del Minor e Maggior Consiglio e consenso popolare fu aggiunto che se alcuno sia accusato di omicidio e non si presenti alla comparizione avanti il conte entro il termine previsto, e fosse contumace, qualora si sia rappacificato e accordato coi parenti del morto, la contumacia sia revocata; e possa presentarsi avanti il conte e il suo Ufficio, perché sia processato secondo diritto. E tuttavia, durante l’istruttoria, il conte è tenuto a interrogare diligentemente i testi sotto giuramento su detto reato e interpellando i parenti di lui coi quali ci si deve conciliare, il padre, la madre, i figli e i fratelli e le sorelle, e in mancanza di costoro allora siano interpellati quelli più prossimi. Riguardo i termini dati per l’omicidio trovi retro un’addizione scritta dopo il terzo capitolo del sesto libro.
33. Offesa commessa da cittadino a danno di straniero. – Il Raguseo che abbia percosso o bastonato, o abbia portato altra offesa a uno straniero sia condannato al pagamento come se questi fosse Raguseo, nulla vada allo straniero ma tutto al Comune. Ugualmente per gli uomini e le donne che l’un con l’altro si percuotano, si portino offesa o si bastonino. Ugualmente se uno straniero percuota o bastoni un Raguseo o gli porti altra offesa.
34. Vendita in casa. – E’ vietato a Ragusei e stranieri di vendere granaglie in casa né in altro luogo se non nel fondaco senza licenza del conte a pena del pagamento di cinque perperi, e chiunque abbia presentato denuncia riceva la metà e il Comune l’altra metà.
35. Rottura di sigilli o croci. – Se per ordine del conte e del suo Ufficio sia stata posta una croce nella vigna o sulla nave o su altra imbarcazione, ovvero su qualunque altra cosa di alcuno o su una casa o bottega e che sia stata sigillata in occasione di costituzione di pegno, e il proprietario della cosa o della casa o della bottega così sigillata abbia rotto o fatto rompere la croce e abbia infranto o fatto infrangere il sigillo fraudolentemente, se provato, sia condannato al pagamento di dodici perperi, a favore del Comune di Ragusa.
36. Violazione di domicilio aggravata da danno. – Se alcuno sia entrato in casa d’altri e abbia bastonato o percosso il padrone o la padrona di casa, ovvero abbia compiuto alcuna aggressione o altra violenza, ovvero tramite aggressione abbia sottratto da lì, sia condannato al pagamento di XXIV perperi, ossia dodici per l’ingresso in casa e dodici per l’uscita, dei quali l’aggredito o l’aggredita abbia la metà, se abbiano di ciò presentato querela al Conte; se tuttavia non abbiano presentato querela, ma il Conte abbia proceduto d’ufficio, l’aggredito o l’aggredita nulla ricevano, ma l’intera multa vada al Comune; se tuttavia tale reato sia commesso di notte, e non possa essere provato per testi maschi, valga la testimonianza di almeno due donne; in tal modo, tuttavia, chi debba essere condannato al pagamento di ventiquattro perperi, se provato tramite maschi, sia condannato al pagamento soltanto di dodici, ossia sei per l’ingresso e sei per l’uscita, qualora sia provato tramite donne. Anno Domini 1366, nella quarta adunanza, il giorno ventisette di agosto noi Petronio de Bonda rettore del Comune di Ragusa, con la volontà del Minor e Maggior Consiglio, e consenso popolare al suono delle campane riuniti secondo gli usi, considerando che la debolezza e la malvagità degli schiavi possono o potrebbero provocare molti gravi pericoli, portando uomini in casa dei padroni o delle padrone, si statuisce e si ordina che se uno schiavo da ora in poi introduca alcuno nella casa del padrone o della padrona, senza il permesso del padrone o della padrona, a quello schiavo sia amputato il naso; e se alcuno sia catturato nella casa padronale dove sia entrato senza il permesso del padrone o della padrona, essendo schiavo di altri sia condannato alla reclusione di sei mesi nelle carceri sotterranee; colui il quale fugga dalla carceri prima del compimento dei sei mesi, e poi venga catturato o ritorni alle carceri spontaneamente, da allora soltanto decorrerà detto termine, e se non si è potuto catturare in casa, o non lo si possa provare, allora sia rimesso alla discrezione del Rettore il quale dovrà provvedere insieme a tutti i giudici a punire quello o quelli accusati di essere entrati nella casa di un padrone o di una padrona, essendo schiavo di altri. Il qual Rettore dovrà adeguarsi alla volontà della maggioranza di tutti i giudici, e far eseguire tale condanna contro quello o quelli che siano entrati nella casa ove non fossero schiavi, e non fossero catturati, o se non lo si possa provare.
37. Reati commessi nottetempo. – Chi fuori casa in piazza o in campo di notte percuota o bastoni alcuno, e non lo si possa provare per testi maschi, valgano le testimonianze di almeno due donne. In tal modo tuttavia chi deve essere condannato non potrà esserlo tramite testimonianza di donne, se non alla metà di quanto sarebbe stato condannato tramite testimonianza di maschi; per notte intendonsi in questo caso dal terzo rintocco fino a giorno.
38. Divieto di importazione di vino. – E’ vietato a ogni Raguseo di portar vino fuori la città di Ragusa per venderlo o regalarlo o portarlo in casa propria, oltre la quantità stabilita dal conte e dal Comune di Ragusa nella normativa sul vino; e i contravventori siano condannati a pagare XXV perperi, e tutto il vino in più disperso. Se tuttavia sia stato un forestiero a compiere la violazione, gli sia confiscato il vino. Fermo restando che i frati predicatori e minori possono ricevere vino in elemosina da ogni persona venuta a Ragusa non acquistandolo. E possono altresì portar vino da fuori da ogni parte per il loro sostentamento, e al denunciante vada la metà se tramite lui si sia potuto scoprire la verità. Anno Domini 1320, nella 3^ adunanza, il giorno 14 febbraio, al tempo di Ugolino Giustiniano, Conte di Ragusa, per decreto di lui per la volontà del suo Minore e Maggior Consiglio e col consenso popolare al suono della campana convocato come d’uso fu deliberato e ordinato che per il futuro nessun forestiero a qualsiasi condizione appartenga, possa portare vino da fuori Ragusa per venderlo o donarlo o portarlo alla propria abitazione sotto pena di XXV perperi, e tutto il vino sia gettato via, e al denunciante vada la metà se tramite lui si sia potuto provare l’accusa.
39. Importazione di vino a fine di vendita. – Il Raguseo che abbia portato vino da fuori e abbia fatto scalo dal porto di Budua fino a capo Comari, perda quel vino e sia condannato al pagamento di due perperi; tuttavia il vino vendemmiato a Ragusa chiunque lo potrà vendere senza condanna né pena.
40. Scarico di vino nel porto di Ragusa. – Se alcuna imbarcazione di Ragusei o di stranieri abbia attraccato al porto di Ragusa con un carico di vino, gli ufficiali dei vini o il Conte in loro assenza, facciano giurare il padrone di tal vino, o il Comandante e quattro Marinai, in assenza del padrone, che né a Ragusa né nel territori non venderò, donerò, scaricherò, né farò scaricare o vendere alcunché di quel vino senza l’autorizzazione del Conte e del suo Ufficio, e finché tale imbarcazione rimarrà nel porto di Ragusa, il Conte assegnerà due uomini del Comune, per custodire il vino stesso a spese del padrone, o dell’equipaggio, in assenza del padrone.
41. Conservazione di vino in fortezza. – Chiunque conservi vino o lo venda, eccetto chi abbia case di sasso, cioè di pietra, sia condannato al pagamento di due perperi, e quel vino sia gettato via, il denunciante riceva metà della multa.
42. Dell’aceto. – Il Raguseo o il forestiero non possono portare a Ragusa aceto per venderlo, per consumo domestico il Raguseo fino a mezzo quingum (l. 9,6 ca.) potrà portarvi per utilità sua propria: e il Raguseo che non ottemperi, sia condannato a pagare due perperi, e l’aceto sovrabbondante gettato via, e metà della multa vada al denunciante; se tuttavia si tratti di un forestiero, perda quell’aceto.
43. Sull’idromele. – Nessuno può produrre idromele per la vendita, e il contravventore sia condannato al pagamento di due perperi, e tutto quell’idromele sia gettato via e metà della multa vada al denunciante.
Tuttavia per berlo a casa propria chiunque potrà produrre idromele.
44. Vino delle isole. – Autorizziamo le isole di Zuppana, Calafotta e Calamotta che il vino prodotto su tali isole possa essere venduto in quell’isola alla taverna. Invece da un’isola all’altra è proibito portare vino per la vendita. Tuttavia chi abbia vigna in alcuna di dette isole può comunque asportare a sua volontà il vino là prodotto, e se vorrà venderlo alla taverna, ma se alcuno vorrà portar fuori vino dalla città di Ragusa, e portarlo ad alcuna di dette isole per venderlo nella taverna, lo faccia con autorizzazione del Conte, indicandogli la quantità del vino. Il contravventore sia condannato al pagamento di due perperi, e il vino portato da fuori sia gettato via.
45. Percosse degli schiavi. – Se uno schiavo o una schiava di alcuno abbia percosso un uomo libero o una donna libera ovunque, e con qualunque strumento, tramite cui possa percuotere, e la vittima l’abbia querelato, e provi di essere stato percosso da uno schiavo o da una schiava, il Conte potrà condannare quello schiavo o quella schiava alla pena della metà del prezzo di vendita, ossia di tre perperi, se il padrone o la padrona non volessero pagare detti perperi per quello schiavo, o schiava, gli stessi saranno fustigati attraverso tutta la città, e quindi rientreranno nella casa padronale in schiavitù come prima. Se in vero la vittima percossa dallo schiavo o dalla schiava sia deceduta a causa delle stesse percosse, il Conte secondo giustizia condannerà quello schiavo o quella schiava a morte. Si vuole che prima dell’esecuzione il Comune di Ragusa paghi al padrone o alla padrona dello schiavo di lui dodici perperi.
Che lo schiavo o la schiava non possano essere condannati a pena diversa della morte. E tutti i beni mobili che avessero sia nella casa padronale sia altrove, rimangano al padrone o alla padrona degli stessi, e il Conte e il suo Ufficio non potranno pignorare detti beni o domandare loro alcunché.
46. Percosse su schiavi altrui. – Se alcuno abbia bastonato o percosso uno schiavo o una schiava altrui, e il padrone di quello schiavo, o schiava, l’abbia querelato sia condannato al pagamento di tre perperi. Se in vero il padrone o la padrona non l’abbia querelato, non pagherà nulla.
47. Schiavi fuggitivi. – Se uno schiavo o una schiava di alcuno sia fuggito o si sia nascosto, il padrone o la padrona possono cercarli o farli cercare a loro discrezione, e se li trovano trascinarli, e farli trascinare, catturarli o farli catturare, bastonare, e farli bastonare e far di lui o di lei quello che vorrà. E il conte per ciò non potrà imporre né multa, o pena. Tutto ciò potrà fare sia con l’autorizzazione del conte, sia senza licenza, come vorrà.
48. Liberti. – Lo schiavo o la schiava liberti liberati, naturalmente dalla potestà dei padroni e i loro figli non saran tenuti al lavoro obbligatorio, e se tali liberti o i loro figli non possano amministrarsi, o mantenersi, e volessero vendersi o darsi in pegno, o darsi in schiavitù senza compenso, il padrone o la padrona che li avevano liberati, e i figli e le figlie di loro, e i primi nipoti loro, li riconducano in schiavitù per quel prezzo che potranno pretendere, o senza prezzo, se senza prezzo abbiano voluto darsi. E se si son già venduti il padrone, o la padrona possono riscattarli per quel prezzo a chi si sono venduti.
49. Allontanamento di schiavi da parte dei padroni. – Se alcuno abbia allontanato da casa uno schiavo, o schiava propri, o li abbia fatti andare mal vestiti o mal nutriti, allo scopo di correggere o punire lo schiavo o la schiava per qualche vizio in loro connaturato, lo stesso padrone, o la padrona possono ricondurre in casa a loro volontà quello schiavo o quella schiava. E se alcun uomo, o donna liberi abbiano accolto senza autorizzazione del padrone, o della padrona, lo schiavo o la schiava espulsi, e da quello schiavo, o da quella schiava sia venuto danno, o siano morti o fuggiti, per quello schiavo o schiava il padrone sarà tenuto al risarcimento e al pagamento per ogni individuo di dodici perperi al padrone o alla padrona secondo antica consuetudine e per ogni giorno che li abbiano tenuti, come per un mese, un perpero. Se tuttavia lo schiavo o la schiava siano stati accolti col consenso del padrone, allora per ciò non sia comminata alcuna condanna, o pena.
50. Obblighi dei liberti. – Lo schiavo liberto, al padrone che l’abbia liberato, alla moglie di lui, ai suoi eredi, ai suoi figli e alle sue figlie, ai primi nipoti sia tenuto ai seguenti servizi; cioè al tempo della vendemmia vogare da Gravosa a Ragusa senza compenso.
Se a causa della tempesta la barca sia rimasta là e se uomini di Ragusa siano andati armati a Vergato, o altrove via terra per l’onore e la convenienza della città, quel liberto sia tenuto a portare le armi al seguito dei predetti; e se alcuno dei predetti si sia recato per ordine di autorità in un diverso luogo della Dalmazia, quel liberto sia tenuto ad accompagnarlo, e vogare e compiere a favore di lui ogni servizio senza compenso, purché gli dia da mangiare e da bere finché rimarrà a detti servizi.
Se alcuno dei predetti venga catturato, o detenuto in qualche luogo, e il figlio di questi o il padrone di un liberto vogliano mandarlo a occuparsene, e conoscendo il luogo dove sia stato catturato o sia detenuto, o cosa gli sia accaduto, il liberto è tenuto a recarsi a spese del padrone ovunque sia prigioniero: potrà tuttavia farsi sostituire a sue spese qualora dichiari di non potervi andare se in verità l’altro rifiuti, possa il padrone o la padrona o i loro eredi ridurlo in schiavitù.
Se inoltre il liberto lavorasse o volesse lavorare nella vigna o nella terra altrui dietro compenso nel territorio di Ragusa e alcuno dei sopraddetti lo voglia a proprio servizio per quel compenso, quel liberto sia tenuto a lasciare ogni lavoro presso altri e andar da lui, e se abbia già ricevuto un compenso dovrà restituirlo senza altra pretesa.
E se alcuno dei sopraddetti si sposi, e per ciò voglia far macinare frumento, quel liberto sia tenuto a portare quel frumento al mulino: e anche a cercar legna con la barca: e a pescare in occasione di tali nozze, e servire alle nozze se chiamato; per ogni cosa vada a fare, quelle persone siano tenute a dargli da mangiare e bere. Alle stesse cose cui sono tenuti gli schiavi siano tenute anche le liberte. Siano tenute a compiere alle nozze tutti i servizi femminili. Se in vero tale schiavo e schiava non vogliano compiere tali servizi per incarico dei predetti, possono tali persone bastonarli o percuoterli senza alcuna condanna o pena.
51. Schiavi contraenti matrimonio con donna libera senza consenso dei padroni. – Quando, senza consenso del padrone o della padrona, uno schiavo abbia contratto matrimonio con donna libera i loro successori saranno proprietà dei padroni dello schiavo.
Ugualmente i padroni potranno impossessarsi di tutti i mobili ritrovati nella casa della moglie e che siano di pertinenza dello schiavo, senza darne notizia all’autorità.
Quando appare che il padrone o la padrona, a istanza della donna libera, abbia consentito al matrimonio, i successori dei coniugi apparteranno al padrone o alla padrona in comune con la moglie dello schiavo stesso.
Quando i padroni abbiano consentito al matrimonio prevedendo la libertà per gli eredi, questi saranno liberi.
52. Dell’uomo libero che apprenda altrui schiava senza consenso del padrone. – Se un uomo libero abbia sposato una schiava senza il consenso del padrone o della padrona di quella, tutti gli eredi che avesse con lei saranno di proprietà del padrone o della padrona di detta schiava. Ma se abbia sposato col consenso del padrone o della padrona, e abbia domandato la grazia affinché gli eredi che Dio gli desse siano liberi, quei padroni o padrone libereranno alcuni eredi di tale schiava, quanti ne vorranno, e alcuni tenerli schiavi a loro volontà.
53. Matrimonio tra schiavi senza il consenso del padrone. – Se uno schiavo col consenso del suo padrone o padrona abbia sposato una schiava altrui senza il consenso del padrone o della padrona della stessa schiava, tutti gli eredi che avessero insieme saranno del padrone o della padrona della schiava; ma se il medesimo schiavo o chi per lui, l’abbia domandata al padrone o alla padrona della medesima schiava, affinché tutti gli eredi che avessero insieme siano resi liberi, o una parte di essi, sia in potestà del padrone o della padrona della stessa schiava rendere liberi tanti eredi, quanti vorrà, e alcuni tenerli schiavi. Ugualmente per la schiava con lo schiavo.
54. La balia schiava. – Se lo schiavo prende in moglie la schiava balia della moglie del suo padrone, o della nuora del padrone o di altra persona, tutti gli eredi che quel servo avrà con la schiava saranno di proprietà del padrone di quella schiava. Tuttavia la padrona di tale schiava balia durante tutta la vita o gli eredi di lei senza il consenso del marito non potranno venderli, ma in morte può liberare detta balia schiava.
Tuttavia gli eredi della schiava rimarranno di proprietà del marito della stessa padrona, fino a nuove nozze; in caso di nuovo matrimonio, tuttavia, gli eredi di tale schiava balia saranno di proprietà dei figli o delle figlie della originaria padrona. La quale, in mancanza di figli, può in morte liberare gli eredi di tale schiava balia.
55. Matrimonio tra schiavi senza consenso dei padroni. – Lo schiavo o la schiava non possono contrarre matrimonio senza il consenso del padrone o della padrona e, se l’abbiano contratto, quel matrimonio non è valido.
56. Eredi nati da schiava. – Colui il quale abbia giaciuto con una schiava altrui, se l’abbia ingravidata, tutti gli eredi, che da lei fossero nati, saranno proprietà del padrone o della padrona della schiava stessa.
57. Introduzione di banditi. – Chi abbia accompagnato banditi per compiere omicidio a Ragusa o nel distretto, sia condannato al pagamento di venticinque perperi.
58. Sui calzolai. – Nessun calzolaio può fare o cuocere a fuoco con caldaie la concia delle pelli o dei cuoi entro le mura della città.
Intorno alle mura tuttavia non si potrà far alcuna concia di pelli. Violando, sia condannato a pagare venticinque perperi.
59. Allontanamento dei lebbrosi. – Si stabilisce come le case che i conciatori di pelle abbiano fatto o faranno per se fuori città, in luogo di consueta permanenza di lebbrosi, siano a loro stabilmente assegnate, né a motivo delle case possano essere molestati dal Comune o da altra qualsiasi persona e i lebbrosi non possano sostare lì ma vadano ad abitare più lontano dalla città.
60. Abitazioni di paglia. – Nessuno può costruire entro la cerchia cittadina case di paglia.
61. Transiti in Dalmazia. – Il Raguseo che senza autorizzazione del Conte andrà in Dalmazia, sia condannato a pagare venticinque perperi; non pagando, perda un occhio. Se tuttavia alcuno sia stato derubato fuori Ragusa da Dalmati e abbia perduto in tale furto da dieci perperi e oltre, potrà recarsi in Dalmazia per recuperare le proprie cose prima di far ritorno a Ragusa, sebbene non potrà fermarsi là se non che per due mesi, né rientrare senza autorizzazione del Conte sotto la detta pena. Chi, tuttavia, si sia accompagnato coi Dalmati paghi detta pena, e perda la cittadinanza.
62. Commercio in Dalmazia. – Nessun Raguseo può ovunque si trovi qualsiasi mercanzia acquistare dai Dalmati, o far con loro nessun affare, non ottemperando perda quella mercanzia e il suo credito e sia condannato a pagare cinquanta perperi, e il denunciante abbia la metà e non possa rendere o donare quella metà, a pena del doppio.
63. Calunnia di commercio in Dalmazia. – Chi sia stato indicato o calunniato di aver fatto commercio coi Dalmati, non provato, se invochi il giuramento, disponiamo che il Conte col suo Ufficio deferisca il giuramento ai parenti dell’accusato, che lui abbia scelto, e che il calunniato non sia creduto e se lo stesso calunniato muoia, l’accusatore abbia la metà della multa a tale condizione.
64. Obbligo di denuncia di commercio coi Dalmati. – Ogni Raguseo è tenuto ad accusare tramite giuramento tutti coloro che sa aver fatto commercio coi Dalmati.
65. Furto commesso sulle isole. – I danni e i furti che siano stati commessi sulle isole di Zuppana, Calamotta, e Calafotta, sulle barche come nelle vigne, quanto in tutti gli altri luoghi di tali isole, se i responsabili non possono riconoscersi, disponiamo che devono essere risarciti dagli abitanti di queste isole secondo gli usi della città di Ragusa; e i Conti di tali isole, se non appartengono alla città, siano tenuti a pagare quei danni per due parti.
66. Avvocati difensori di slavi. – Si dispone che nessun Raguseo osi difendere alcuno Slavo o Slava né a Ragusa avanti al Conte e avanti il maggior e minor Consiglio né altrove.
E il contravventore sia condannato a pagare un perpero al Comune di Ragusa, e quanto da lui detto a difesa non sia considerato.
67. Violazione doganale. – Se alcuna imbarcazione sia uscita dal porto di Ragusa rifiutando di pagare la tassa di zavorra richiesta dai doganieri, quegli uomini che abbiano rifiutato di assolvere quel dazio prima di uscire dal porto, siano condannati al pagamento al Comune di Ragusa del quarto in più di quanto avrebbero dovuto pagare.
68. Anno Domini 1358, adunanza X, il giorno 24 del mese di ottobre. – Poiché desideriamo e di continuo vigiliamo alla crescita e alla conservazione pubblica disponiamo e ordiniamo, perché coloro i quali abbiano trasportato vino da Stagno o da Punta a Ragusa o nel distretto perdano la colonia sia a Stagno quanto a Punta, e l’accusatore abbia la metà della colonia di colui che ha contravvenuto, e l’altra metà al Comune, se tramite l’accusa si sia potuto accertare la verità, e mai possa restituirsi; e chi non avesse colonia a Punta o a Stagno e trasporti vino da Stagno o da Punta, sia condannato al pagamento di cinquecento perperi, la metà dell’accusatore, e l’altra metà al Comune e non pagando stia un anno in carcere.
E tutte le barche provenienti da Stagno o da Punta potranno portare per ogni barca un quingum, di vino per tutta la Comunità di quella barca senza sanzione.
E per tutti i vini stranieri valga la stessa pena. E se fossero arcivescovi, vescovi, chierici, abati, o monaci i contravventori di tale ordine, disponiamo e ordiniamo che nessun laico lavori le loro proprietà o venda vino né faccia altro servizio; e quelli che lavorassero o facessero loro qualche servizio cadano sotto la sopra scritta pena, intendendosi come la barca che abbia portato vino contro tale ordine debba essere bruciata, e i suoi marinai alla pena ordinata, e d’uso, e per tutti tali danni e pene non possa concedersi grazia e chi abbia difeso e patrocinato la concessione della grazia sia condannato al pagamento di cento perperi al Comune.
Invero commercianti che provengano da qualche viaggio possono trasportare vino secondo le regole di giustizia e chiunque coltivi in colonia a Stagno o a Punta può portare a Ragusa due ceste di uva per ogni fondo coltivato.
69. Quote di nave con stranieri. – Parimenti disponiamo e ordiniamo, che da oggi in poi nessun Raguseo né chi tale sia considerato, possa quale partecipe cedere la quota di nave a straniero sotto pena di cinquecento perperi per ogni contravventore e per ogni violazione, e l’accusatore abbia la metà della pena se tramite l’accusa si sia potuto accertare la verità, e sia tenuto il segreto.
70. Grazia. – Noi Giovanni de Gradi, rettore di Ragusa, con la volontà e l’espresso consenso del Minor e Maggior Consiglio, e con approvazione popolare in adunanza pubblica al suono della campana convenuti come d’uso, considerando che le grazie, riduzioni, o commutazioni di pene, e di multe dei delinquenti talora son solite dare causa, alla commissione di più reati sperando di ottenere la remissione o la grazia, poiché dispiace a Dio, che le virtù, e i buoni costumi siano contraddetti, e ne viene disonore alla giustizia, per le buone condizioni della giustizia e il mantenimento della concordia e la crescita della nostra comunità di Ragusa, disponiamo e ordiniamo che se alcuno sia stato o sarà in futuro condannato a pena pecuniaria o afflittiva per qualche reato, mancanza, disobbedienza, o contrabbando tramite il rettore e i giudici, o per il maggior o per il minor consiglio o per i Pregadi, abbia domandato grazia, remissione, o commutazione di pena o di pene o di multe, di competenza dello stesso Consiglio minore o dei Pregadi, o di competenza per concessione e attribuzione o da concedere da detto consiglio maggiore e generale, non possa né debba travalicare la forma e l’ordine seguenti, ossia quando sia stata presentata petizione al minor consiglio perché il condannato a pena afflittiva o pecuniaria come già detto, consegua grazia, remissione, o commutazione, tale domanda non abbia luogo a procedere se non sia stata approvata e confermata e assunta da tre parti dei dodici consiglieri del minor Consiglio: e detta domanda ricevuta, e adottata nel minor Consiglio allo scopo detto, sia proposta e presentata nel maggior Consiglio, nel qual maggior consiglio siano presenti non meno e debbano esserci sessanta consiglieri e detta grazia remissione, o commutazione deve essere approvata da tre parti di tutti i Consiglieri, che fossero presenti a detto Consiglio, anche eccedendo detto numero di sessanta Consiglieri, dopo aver espulso tutti i parenti di quello o di quei condannati istanti dette grazie da tali Consigli sia il minore quanto il maggiore secondo la forma dello statuto: allora quella grazia, remissione, o commutazione da esaminare, deve essere approvata e presa da tre parti di quelli, che fossero rimasti in tale Consiglio.
E affinché il detto statuto, o disposizioni siano meglio e più efficacemente osservati, ordiniamo inoltre che qualsiasi cosa il Rettore di Ragusa abbia fatto contro le predette disposizioni, incorra nella pena di duecento ducati: e qualsiasi consigliere sia del minore che del maggiore Consiglio contravvenga od ostacoli quanto disposto sia condannato al pagamento di cento ducati, e pagata la pena tuttavia dette disposizioni e lo statuto devono essere osservati.
E nessuno osi o presuma violare, revocare, o ritrattare detto statuto o dette disposizioni, sotto detta pena, senza il consenso e la volontà del minore e maggiore Consiglio secondo il numero dei consiglieri e nel modo sopra scritto. E gli Avvocati del Comune siano tenuti d’ufficio a denunciare, accusare e perseguire i contravventori, appena pervenuta la notizia, e debbano ricevere la metà di dette pene.
Se gli avvocati del Comune non abbiano proceduto all’accusa, ogni altra persona può accusare, e denunciare i contravventori, e debba ricevere la metà di dette pene degli accusati, se in vero gli avvocati del Comune contemporaneamente ad altri abbiano accusato alcuno o alcuni dei contravventori, allora gli stessi avvocati in quanto pubblici ufficiali del Comune siano ritenuti gli accusatori, e ricevano la detta metà: in vero gli altri accusatori nulla devono ricevere.
Fine del libro sesto.
(traduzione di Cristiano Caracci e Monica Zamparutti Caracci)
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